L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 25/E del 18 agosto 2023, analizza lo smart working e si sofferma sulle regole di tassazione applicabili che interessano anche il lavoro transfrontaliero o frontaliero.
Con l’avvento della pandemia il lavoro agile è diventato o sta diventando modalità ‘ordinaria’ di svolgimento delle prestazioni lavorative. Rilevante appare, pertanto, l’individuazione dei profili fiscali legati al fenomeno del c.d. ‘mobility of work’.
Il documento di prassi amministrativa si sofferma, in particolare, su due fenomeni, a ciascuno dei quali dedica una specifica elaborazione.
La prima parte si sofferma sui profili fiscali del lavoro da remoto, prestando attenzione ai recenti orientamenti di prassi, anche ai fini dell’applicazione dei regimi agevolativi rivolti alle persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia per svolgervi la propria attività lavorativa.
La seconda parte è dedicata, invece, alla speciale disciplina dei lavoratori ‘frontalieri’, alla luce dei recenti sviluppi e del nuovo Accordo internazionale siglato con la Svizzera, e delle novità introdotte dalla relativa legge di ratifica (legge n. 83 del 13 giugno 2023).
PARTE PRIMA. Profili fiscali del lavoro da remoto
Residenza fiscale e smart working
Lo smart working o lavoro da remoto che ha avuto un’ampia diffusione a seguito della pandemia da Covid-19, non ha modificato la normativa che disciplina la residenza fiscale la quale è ancora disciplinata dall’articolo 2 del Tuir (Testo Unico delle Imposte sui Redditi). Si considerano residenti in Italia le persone fisiche che per la maggior parte dell’anno:
- sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente;
- hanno il proprio domicilio nel territorio dello Stato italiano;
- hanno la propria residenza in Italia.
Si tratta di condizioni tra loro alternative. Significa che basta una sola di queste per considerare residente fiscalmente in Italia una persona fisica. Per stabilire la residenza, al di là del dato formale dell’iscrizione anagrafica, è necessario un riscontro fattuale da eseguirsi caso per caso. L’analisi permette di verificare il luogo di domicilio o di residenza. Il domicilio è il luogo in cui una persona stabilisce la sede principale dei suoi affari e interessi e fa coincidere la dimora abituale con la residenza.
Per configurare la residenza non occorre la continuità della dimora abituale, ne consegue che anche prolungati periodi di assenza non escludono il radicamento in Italia. In merito al domicilio, va tenuto conto anche dei rapporti di natura non patrimoniale, come quelli personali e affettivi, per considerare localizzato in Italia il centro di affari e interessi.
In merito al concetto di domicilio la Cassazione ha chiarito che lo stesso va inteso come sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali. La permanenza in un determinato luogo e l’intenzione di abitarvi in modo stabile, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento di normali relazioni sociali costituiscono i presupposti di fatto della nozione di domicilio.
Affinché sussista il requisito della ‘abitualità della dimora’ – dice la Cassazione – non è necessaria la continuità o la definitività. La dimora abituale permane anche se il soggetto lavora o svolge attività al di fuori del comune di residenza, purché vi conservi l’abitazione, vi ritorni quando possibile e mostri l’intenzione di mantenervi il centro delle proprie relazioni familiari e sociali. La residenza, dunque, non viene meno per assenza anche prolungate per studio, lavoro, cura ecc.
L’articolo 3 del Tuir dispone che i residenti in Italia devono sottoporre ad imposizione nel Bel Paese tutti i loro redditi, ovunque prodotti. I soggetti non residenti saranno assoggettati a imposizione in Italia sulla base dei criteri di territorialità indicati nell’articolo 23 del Tuir.
Il comma 2-bis dell’articolo 2 del Tuir, per contrastare il fenomeno della migrazione fittizia verso Paesi a fiscalità privilegiata, ha introdotto una presunzione relativa di residenza fiscale che considera residente in Italia le persone cancellate dall’anagrafe della popolazione residente in Italia e trasferite in Paesi a regime fiscale privilegiato individuati dal decreto del Min. Finanze del 4 maggio 1999.
Il progresso tecnologico ha favorito la diffusione di forme di lavoro ‘agili’ o da remoto che non richiedono la presenza fisica nei locali aziendali e l’emergenza legata alla pandemia ne ha accelerato l’utilizzo. La normativa interna non ha subìto modifiche sulle regole di determinazione della residenza ai fini fiscali, nonostante i cambiamenti organizzativi che hanno interessato imprese, professionisti e pubblica amministrazione. Cambiamenti apportati dallo smart working.
L’Agenzia delle Entrate ha ribadito che l’attività di lavoro dipendente è esercitata nel luogo ove il dipendente è fisicamente presente mentre svolge il lavoro, ma ha precisato che una persona fisica iscritta all’Aire e rientrata in Italia a seguito della pandemia è considerata fiscalmente residente in Italia, in quanto ha il domicilio nel nostro Paese per la maggior parte del periodo d’imposta.
Nella risposta all’interpello n. 626/2921 l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che il reddito percepito da una cittadina italiana iscritta all’Aire a fronte di un’attività di lavoro svolta in smart working dall’Italia alle dipendenze di una società estera, è imponibile nel luogo di prestazione dell’attività lavorativa, salvo il disposto della normativa convenzionale qualora applicabile.
Chi si è cancellato dalle anagrafi della popolazione residente in Italia e si è trasferito in uno degli Stati o territori individuati dal decreto del Mef 4 maggio 1999 per svolgere un’attività di lavoro da remoto per un datore localizzato in un terzo Stato, continuerà ad essere considerato residente e soggetto a tassazione in Italia per tutti i suoi redditi. Di conseguenza, non si considera assoggettabile ad imposizione il soggetto non residente in Italia che dal suo Paese di residenza lavora per un datore italiano.
Regimi speciali applicabili in caso di svolgimento dell’attività lavorativa in Italia
Nonostante l’incremento del lavoro agile non sono state apportate modifiche alla normativa interna che incidano sulle regole di determinazione della residenza delle persone fisiche ai fini fiscali. Continuano, pertanto, ad applicarsi le disposizioni di cui all’articolo 2 del Tuir. Ciò vale anche ai fini dell’applicazione dei regimi agevolativi rivolti alle persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia per lavorarvi in qualità di lavoratore impatriato o di docente e ricercatore.
Entrambi presuppongono il trasferimento della residenza in Italia da parte di chi ne fruisce. Prima del trasferimento occorre che l’interessato abbia mantenuto la residenza fiscale all’estero per un periodo di tempo minimo, variabile a seconda dell’agevolazione.
Il regime agevolativo è riservato alle persone fisiche che si trasferiscono in Italia. I redditi di lavoro dipendente, quelli di lavoro autonomo prodotti in Italia, concorrono alla formazione del reddito complessivo solo al 30% del loro ammontare qualora:
- i lavoratori non sono stati residenti in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento e si impegnano a risiedere in Italia per almeno due anni:
- l’attività lavorativa è prestata prevalentemente nel territorio italiano.
Questo regime è applicabile dal periodo d’imposta in cui il lavoratore trasferisce la residenza fiscale in Italia e per i successivi periodi d’imposta agevolabili, relativamente ai soli redditi prodotti in Italia. Si considerano prodotti in Italia i redditi di lavoro dipendente prestati nel territorio dello Stato, anche se remunerati da un soggetto estero.
Può accedere al ‘regime speciale per lavoratori impatriati’ il soggetto che si trasferisce in Italia, pur continuando a lavorare in smart working alle dipendenze di un datore di lavoro estero, a partire dal periodo d’imposta in cui avviene il trasferimento.
Il regime speciale per docenti e ricercatori richiede che sussista un collegamento tra il trasferimento della residenza in Italia del docente o ricercatore e lo svolgimento dell’attività produttiva del reddito agevolabile.
Trasferimenti fittizi di residenza all’estero
La diffusione del lavoro agile ha acuito i fenomeni di trasferimenti fittizi di residenza all’estero, in quanto la modalità di prestazione lavorativa a distanza rende meno immediata l’individuazione del luogo di presenza fisica del lavoratore nel corso dell’anno. La circolare n. 304/1997 evidenzia la necessità di dare impulso ad attività investigative e di intelligence che consentano di individuare i fenomeni di trasferimenti fittizi. Le indagini mirano ad accertare la simulazione di chi, nonostante abbia trasferito la residenza all’estero, mantenga il centro dei propri interessi in Italia.
L’iscrizione all’Aire e la circostanza di prestare attività lavorativa da remoto per un soggetto estero non bastano ad escludere la residenza fiscale in Italia qualora, da una valutazione complessiva dei rapporti economici, patrimoniali e affettivi, risultino integrati i criteri di individuazione della residenza fiscale in Italia.
Applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni
La residenza fiscale nella normativa convenzionale
La normativa interna va coordinata con le disposizioni contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con i singoli Stati esteri, la cui prevalenza sul diritto interno è riconosciuta nell’ordinamento italiano e in ambito tributario.
Con riferimento alla residenza fiscale, rileva l’art. 4 del Modello di Convenzione Ocse contro le doppie imposizioni il quale stabilisce che ‘ai fini della presente Convenzione, l’espressione ‘residente in uno stato contraente’ designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è ivi assoggettata ad imposta a motivo del suo domicilio, residenza, sede di direzione o di ogni altro criterio di natura analoga. Tuttavia, tale espressione non comprende le persone che sono assoggettate ad imposta in questo Stato soltanto per il reddito che esse ricavano da fonti situate in detto Stato’.
Solo ove le normative interne dei Paesi contraenti entrino in conflitto la fattispecie trova risoluzione con l’attribuzione della residenza ad uno solo dei due Paesi. Ciò potrebbe verificarsi, ad esempio, nel caso in cui un soggetto acquisisca la residenza nel Paese in cui è contrattualmente fissata la propria sede lavorativa, ma mantenga, la dimora abituale o il domicilio in Italia dove può lavorare anche in smart working.
In questi casi prevale il criterio dell’abitazione permanente, cui seguono il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità del contribuente.
La nozione di abitazione permanente si riferisce ad un immobile attrezzato e reso idoneo ad una lunga permanenza nello stesso. A rilevare è il fatto che la persona fisica abbia predisposto l’abitazione per utilizzarla in modo duraturo e continuo e non occasionalmente.
Inoltre, quando la persona fisica dispone di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati contraenti, sarà considerata residente, in virtù del criterio del centro degli interessi vitali, nel Paese nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette. Se non è possibile individuare la residenza in base ai due criteri sopra citati, una persona fisica sarà considerata residente dello Stato in cui soggiorna abitualmente.
L’applicazione della normativa convenzionale presenta particolare rilevanza per le implicazioni sullo smart working, visto che è possibile lavorare per un soggetto stabilito in uno Stato estero, senza dover modificare la propria residenza.
A titolo di esempio, la circolare rinvia al caso del cittadino italiano che si è trasferito all’estero, dove lavora in smart working, e che ha mantenuto l’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta. Si ipotizzi che il contribuente abbia venduto l’appartamento italiano e acquistato un immobile nello Stato estero come sua abitazione permanente. Si ipotizzi, altresì, che lo stesso soggetto sia iscritto anche all’anagrafe dello Stato di trasferimento e che, pertanto, tale Stato lo consideri residente in base alla sua normativa interna. Per dirimere il conflitto di residenza trovano applicazione specifiche regole (le tie breaker rules) stabilite nel Trattato tra l’Italia e lo Stato estero. In particolare, l’abitazione permanente in quest’ultimo, dove il lavoratore svolge smart working, può configurare il criterio dirimente ai fini della determinazione della residenza.
Applicazione delle Convenzioni allo smart working
Il nuovo modello organizzativo del lavoro agile necessita di chiarimenti di coordinamento con le disposizioni convenzionali che ripartiscono la potestà impositiva in relazione a determinati redditi, con particolare riferimento agli articoli 15, 7, 5 e 14 del Modello Ocse come recepiti nei Trattati conclusi dall’Italia.
Redditi di lavoro dipendente
L’art. 15 del Modello Ocse, recepito nelle Convenzioni negoziate dall’Italia, prevede la tassazione esclusiva dei redditi da lavoro subordinato nello Stato di residenza del contribuente, a meno che tale attività lavorativa non venga svolta nell’altro Stato contraente; in tale ultima ipotesi i predetti redditi devono essere assoggettati ad imposizione in entrambi i Paesi.
L’articolo in parola stabilisce, in primis, la tassazione esclusiva dei redditi di lavoro dipendente nello Stato di residenza quando l’attività è ivi svolta. Nel caso in cui lo Stato di residenza e quello della fonte non coincidano, si applica un regime di imposizione concorrente.
Viene ripristinata la tassazione esclusiva nello Stato di residenza anche quando l’attività lavorativa è svolta nello Stato della fonte, ove ricorrono congiuntamente tre condizioni:
- il beneficiario dei redditi di lavoro dipendente soggiorna nello Stato della fonte per periodi non superiori in totale a 183 giorni nell’anno fiscale considerato;
- le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente nello Stato della fonte;
- l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nello Stato della fonte.
In applicazione delle disposizioni convenzionali, quindi, un soggetto non residente che svolge la sua attività di lavoro dipendente in Italia è assoggettato a imposizione nel nostro Paese in relazione ai redditi imputabili all’attività prestata nel territorio dello Stato. Non inficia la modalità di svolgimento della prestazione. Significa che anche quando è svolta da remoto per un datore estero, si considera comunque prestata in Italia, con conseguente riconoscimento della potestà impositiva italiana.
Il lavoro dipendente si considera svolto nel luogo in cui il lavoratore è fisicamente presente quando svolge la prestazione per cui è pagato, indipendentemente dalla circostanza che la manifestazione di tale lavoro abbia effetti nell’altro Stato contraente.
La disposizione convenzionale è coerente con l’articolo 23 del Tuir che considera prodotti in Italia ‘i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato’.
Ipotizziamo, ad esempio, il caso di un cittadino italiano che prima del Covid-19 sia stato assunto da un’impresa stabilita nello Stato X (con cui l’Italia ha in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni), dove ha provveduto a trasferire la residenza. Con la pandemia il lavoratore ha iniziato a fruire del lavoro agile, che ha svolto in Italia per l’impossibilità di rientrare nello Stato X a causa delle limitazioni alla circolazione dettate da ragioni sanitarie. Cessate le restrizioni alla circolazione, il lavoratore continua a lavorare in Italia in smart working.
In tal caso, i redditi del lavoratore per il lavoro svolto da remoto nel territorio dello Stato, sia durante l’emergenza pandemica che dopo, sono imponibili in Italia. Non rileva né la circostanza che, in assenza di accordi di smart working, il lavoratore si dovrebbe recare fisicamente presso i locali dell’impresa nello Stato X, né l’eventuale origine forzosa dello stabilimento a causa delle restrizioni alla circolazione.
Tale conclusione trova riscontro nella risposta a interpello n. 50/2023, in cui è stato chiarito che il reddito da lavoro dipendente, erogato ad un soggetto fiscalmente residente in Italia da parte di un datore di lavoro irlandese, a fronte di una attività lavorativa svolta in parte in Italia, in modalità agile, e in parte in Irlanda, presso la sede della società, deve, ai sensi dell’articolo 14 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia ed Irlanda, essere assoggettato a tassazione esclusiva in Italia (Stato di residenza), per la parte derivante dall’attività svolta in smart working in Italia, ed a tassazione concorrente, sia in Italia che in Irlanda, per la parte derivante dall’attività svolta in Irlanda.
PARTE SECONDA. La disciplina tributaria dei lavoratori frontalieri. Le novità introdotte dalla legge n. 83/2023
La seconda parte della circolare è dedicata alla disciplina fiscale dei lavoratori frontalieri, ossia dei lavoratori, dipendenti o autonomi, che svolgono la propria attività in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede e che ritorna nel Paese di residenza quotidianamente o almeno una volta a settimana. Questo inquadramento non vale dal punto di vista tributario, per il quale la disciplina del lavoratore frontaliere va ricercata nelle legislazioni nazionali e nelle singole Convenzioni contro le doppie imposizioni.
In merito al reddito derivante dal lavoro dipendente prestato all’estero, il lavoratore frontaliero usufruisce di una franchigia da imposizione dall’Irpef di 7.500 euro. Tale regime è applicabile esclusivamente ai lavoratori dipendenti che risiedono in Italia e che quotidianamente si recano all’estero per lavorare, ad esempio Francia, Austria, San Marino, Città del Vaticano.
La disciplina tributaria del lavoratore frontaliere è contenuta anche in alcune Convenzioni contro le doppie imposizioni e accordi stipulati dall’Italia con gli Stati confinanti. La circolare si sofferma sulla Convenzione tra Italia ed Austria, tra Italia e Francia, tra Italia e San Marino e tra Italia e Svizzera.
Ferma restando la prevalenza sull’ordinamento interno, la funzione di tale normativa convenzionale è quella di regolamentare la ripartizione della potestà impositiva tra gli Stati, per cui, una volta attribuita la potestà impositiva allo Stato italiano, l’applicazione della normativa interna resta condizionata alla sussistenza dei requisiti previsti da quest’ultima.
L’Agenzia delle Entrate si sofferma sulla Convenzione contro le doppie imposizioni che l’Italia ha sottoscritto con Austria, Francia e San Marino. Naturalmente ampio spazio viene dedicato agli accordi del 1974 e del 2020 stipulati con la Svizzera.
Dopo un primo accordo del 1974 Italia e Svizzera hanno concluso una nuova intesa il 23 dicembre 2020, che sarà applicabile dal 1°gennaio 2024.
L’accordo del 1974 regolamenta esclusivamente l’imposizione dei frontalieri residenti in Italia che svolgono attività lavorativa in Svizzera. Alla luce di questo accordo, un lavoratore frontaliero in Svizzera vede la sua remunerazione imponibile soltanto in Svizzera. Questo accordo fornisce una definizione generica di lavoratore ‘frontaliere’ che va riconosciuta ai lavoratori che siano residenti in un Comune il cui territorio sia compreso nella fascia di 20 Km dal confine con la Svizzera, dove si reca per svolgere attività di lavoro dipendente.
Devono essere riconosciuti quali lavoratori frontalieri solo i lavoratori dipendenti che sono residenti in Italia e quotidianamente si recano all’estero in zone di frontiera per svolgere la prestazione lavorativa.
Come detto, il 23 dicembre 2020 Italia e Svizzera hanno stipulato un nuovo accordo, ratificato con la legge n. 83/2023 che entrerà in vigore il 1°gennaio 2024.
Il nuovo accordo fornisce una nuova definizione di ‘lavoratore frontaliere’. Lo è il lavoratore che:
- è fiscalmente residente in un Comune il cui territorio si trova, totalmente o parzialmente, nella zona di 20 Km dal confine con l’altro Stato contraente;
- svolge un’attività di lavoro dipendente nell’area di frontiera dell’altro Stato, per un datore di lavoro residente, una stabile organizzazione o una base fissa di detto altro Stato;
- ritorna, in linea di principio, quotidianamente al proprio domicilio principale nello Stato di residenza.
A differenza dell’accordo del 1974 il nuovo disciplina tanto il trattamento dei frontalieri elvetici che lavorano in Italia quanto quello dei frontalieri italiani che lavorano in Svizzera, secondo un principio di reciprocità. La novità principale sta nel regime impositivo di cui godono i frontalieri: alla tassazione esclusiva nel Paese della fonte prevista dall’accordo del 1974 subentra una tassazione concorrente tra Paese della fonte e Paese di residenza.
In virtù del nuovo accordo, il reddito da lavoro dipendente dei lavoratori frontalieri è imponibile nello Stato in cui è prestata l’attività lavorativa mediante ritenuta alla fonte, in misura pari fino a un massimo dell’80% di quanto dovuto in base alle disposizioni Irpef. Lo Stato di residenza del lavoratore, a sua volta, tassa per concorrenza il reddito per l’intero ammontare, garantendo l’eliminazione della doppia imposizione giuridica secondo quanto previsto dalla Convenzione tra Italia e Svizzera.
Lo Stato contraente in cui viene svolta l’attività lavorative deve trasmettere allo Stato di residenza, entro il 20 marzo dell’anno successivo, le informazioni rilevanti ai fini dell’imposizione del frontaliere. Le informazioni scambiate in base al nuovo accordo possono essere utilizzate solo ai fini dell’imposizione di salari, stipendi e remunerazioni analoghe ricevute dai frontalieri.
Eliminazione delle Svizzera dall’elenco delle black list
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con decreto del 20 luglio 2023, ha provveduto a cancellare la Svizzera dall’elenco degli Stati fiscalmente privilegiati ai fini Irpef (c.d. black list persone fisiche). Dunque, dal periodo di imposta 2024, la Svizzera deve essere considerata esclusa dall’elenco degli Stati fiscalmente privilegiati ai fini Irpef.
Ulteriori novità introdotte dalla legge n. 83 del 2023
La legge n. 83/2023 ha introdotto nuove disposizioni in merito alla tassazione dei lavoratori frontalieri, applicabili dall’anno successivo a quello in corso alla data di ratifica ed esecuzione del nuovo Accordo, ossia a decorrere dal 2024.
La citata legge ha previsto un innalzamento della soglia di franchigia applicabile ai lavoratori frontalieri dagli attuali 7.500 euro a 10.000 euro. Tale innalzamento investe tutti i lavoratori frontalieri e non solo quelli che lavorano nelle zone di frontiera in Svizzera.
I contributi previdenziali per il prepensionamento previsti a carico dei lavoratori frontalieri sono deducibili dal reddito complessivo nell’importo risultante da idonea documentazione. Esclusi dalla base imponibile Irpef gli assegni di sostegno al nucleo familiare erogati ai lavoratori frontalieri dagli enti previdenziali dei Paesi in cui i primi prestano la loro attività.
Fino al prossimo 31 dicembre trova applicazione un regime transitorio per gli ‘attuali frontalieri’, ovvero per i frontalieri che hanno in corso un rapporto di lavoro al momento dell’entrata in vigore dell’Accordo, e che è differente dal regime cui saranno assoggettati i ‘nuovi frontalieri’.
Il nuovo Accordo prevede:
- un regime transitorio per chi svolge o ha svolto lavoro dipendente in Svizzera per un datore elvetico tra il 31 dicembre 2018 e la data di entrata in vigore del nuovo Accordo. Questi continueranno ad essere assoggettati a imposizione esclusivamente in Svizzera. A titolo di compensazione i Cantoni Ticino, Vallese e Grigioni provvederanno a redistribuire in Italia, sino al 2033, il 40% dell’ammontare lordo delle imposte su salari e stipendi pagati dai frontalieri italiani;
- un regime ordinario, applicabile a chi verrà assunto dopo l’entrata in vigore del nuovo Accordo. Per i ‘nuovi frontalieri’ la Svizzera applicherà un’imposta dell’80% sul reddito di lavoro dipendente, mentre l’Italia potrà assoggettare a imposizione l’intero reddito, riconoscendo ai frontalieri un credito per l’imposta pagata in Svizzera.
La legge n. 83/2023 ha previsto che, a decorrere dal 1°febbraio 2023 e non oltre il 30 giugno 2023, i giorni di lavoro svolti nello Stato di residenza in smart working, fino al 40% del tempo di lavoro, dai lavoratori frontalieri che rientrano nel campo di applicazione dell’Accordo tra Italia e Svizzera relativo all’imposizione dei lavoratori frontalieri, si considerano effettuati nell’altro Stato.
Solo per i lavoratori frontalieri che al 31 marzo 2022 svolgevano l’attività lavorativa in modalità agile, il decreto legge n. 75/2023 ha previsto l’estensione del periodo di applicazione delle disposizioni di cui all’art. 12, comma 1, della legge n. 83/2023, fino al 31 dicembre 2023.
Le nuove disposizioni contengono, pertanto, una disciplina provvisoria applicabile ai residenti in Italia che possono qualificarsi come frontalieri in Svizzera in base all’Accordo del 1974. Per tali soggetti i giorni di lavoro svolti in Italia in smart working, fino al 40% del tempo di lavoro, si considerano giorni lavorati svolti in Svizzera.
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